8.2.17



Miles ahead.

"Come ogni domenica mattina, mi sedetti alla scrivania e scrissi a Naoko. Con la compagnia di un vecchio disco di Miles Davis e di una gran tazza di caffè le scrissi una lunga lettera. Tra il freddo e i vetri rigati da una pioggia sottile la stanza sembrava un acquario. Il pullover pesante che avevo appena tirato fuori dalla scatola degli abiti invernali sapeva ancora di naftalina. Una grossa mosca era appoggiata sulla parte alta del vetro assolutamente immobile. Anche la bandiera, in mancanza di vento, non si muoveva e ricadeva afflosciata lungo l'asta, avvolta su se stessa, come il panneggio della toga di qualche senatore romano. Un cane marrone e denutrito, venuto da chissà dove, si aggirava per il cortile con aria esitante annusando un'aiuola dopo l'altra. Chissà cosa poteva spingere un cane ad andarsene in giro ad annusare fiori sotto la pioggia?
[...]
Dopo aver raccontato che ero stato alla sala di biliardo con Hatsumi, esitai un po' prima di scriverle che l'episodio mi aveva ricordato Kizuki, ma alla fine decisi di farlo. Mi sembrava giusto non fare omissioni.
"Quel giorno, il giorno della morte di Kizuki, ricordo bene il suo ultimo colpo. Era un tiro quasi impossibile, e io non pensavo minimamente che lui ce l'avrebbe fatta. Invece, sarà stato anche un caso, ma ci riuscì alla perfezione: la pallina bianca e quella rossa si urtarono leggermente, quasi senza un suono, sul feltro verde, e con quel colpo si aggiudicò la partita. Fu un colpo così straordinario che ancora adesso me lo ricordo perfettamente. Da allora non avevo toccato un biliardo per quasi due anni e mezzo.
"Eppure, la sera che sono andato a giocare al biliardo con Hatsumi, è stato solo alla fine della prima partita che mi sono ricordato di Kizuki, e questo pensiero mi ha sconvolto non poco. Avevo sempre pensato che non avrei mai più potuto giocare a biliardo nella mia vita senza pensare istantaneamente a lui. Invece fino al momento in cui, al termine della prima partita, non ho comprato una Pepsi-Cola dal distributore automatico lì nella sala, il ricordo di Kizuki non mi aveva nemmeno sfiorato. La ragione per cui mi è tornato in mente proprio in quel momento è che c'era un distributore automatico di Pepsi anche nella sala da biliardo che frequentavamo io e lui, e che spesso la posta in gioco era proprio il prezzo della bevanda.
"Il fatto di non essermi ricordato subito di lui mi ha dato la sensazione di avergli fatto un torto. Mi sono sentito come se l'avessi abbandonato. Però quando quella notte sono tornato nella mia stanza ho pensato: sono già passati due anni e mezzo da allora, e lui ha ancora diciassette anni. Ma questo non significa che il suo ricordo dentro di me sia sbiadito. Tutte le cose che la sua morte ha portato con sé rimangono vivide, alcune addirittura più che allora. Quello che cerco di dire è che tra poco io avrò vent'anni, e che una parte delle cose che ho diviso con Kizuki quando avevamo sedici, diciassette anni, sono già finite, e che per quanto uno possa piangere e disperarsi non torneranno più. Non te lo so spiegare meglio di così, ma penso che forse tu riuscirai a capire quello che cerco di dire. Credo che non ci sia nessun altro che possa capirlo all'infuori di te.
"In questi giorni penso a te ancora più di prima. Oggi piove. Quando di domenica piove io sono sempre agitato. Sarà, banalmente, perché non posso fare il bucato e di conseguenza non posso neanche stirare. Non posso neanche andare in giro a passeggiare né stendermi sul terrazzo. Non mi resta molto da fare se non stare seduto alla scrivania a guardare dalla finestra il cortile sotto la pioggia, mentre il giradischi messo sull'automatico torna a suonare per l'ennesima volta Kind of Blue. Come ti ho già scritto l'altra volta, la domenica non seguo il mio serrato programma di allenamento quotidiano, ed è anche perciò che questa lettera è diventata così lunga. Scusa. Adesso chiudo, e vado a mensa per il pranzo. Sayonara
Toru"

Haruki Murakami - Norwegian wood/Tokyo blues, pt.7.

Jazz, in qualunque modo passi il tempo.