27.2.17




Oggi ho salutato Barbara e Roger.
Insieme ad Oscar e ai suoi continui e piacevoli autoinviti dentro la parte di casa che abitavo io, mi hanno tenuto compagnia negli ultimi 3 mesi. Una chiacchiera alla volta, ho imparato a conoscerli piano piano ogni giorno un po’ di più.
Di lui mi piace l’ottimismo, la perseveranza, la praticità. Mi ha insegnato ad installare uno spillatore per la birra e a cambiare/riparare la ruota di una bicicletta. Per quanto mi riguarda, nessuno l’aveva mai fatto. Per questo l'ho abbracciato, alla stazione.
Di lei il fatto di saper essere estremamente gentile e un po’ lunatica: per starle dietro, ho imparato a essere meno permaloso e ad adattarmi ancora di più, magari a rispondere per le rime, ad esercitarmi con lo humor inglese.
Battibecca spesso con suo marito, ma credo di aver capito che sia tutto un gioco. E se lo fa nonostante, o proprio perché, siano sposati da 42 anni, forse il fatto che mi riservasse lo stesso trattamento devo prenderlo come un qualcosa di positivo. Per questo l'ho abbracciata, nel cortile.
Ieri abbiamo cenato insieme. Mi hanno ringraziato per tante cose, la più importante delle quali essere capitato nella loro vita in un momento in cui la loro vita gli stava offrendo dei risvolti amari, vuoi per la famiglia, vuoi per il lavoro. Poi li ho ringraziati io, e i motivi erano più o meno gli stessi.
Infine gli ho dato la busta che conteneva la foto che ho fatto stampare per regalargliela. Lei continuava a far rimbalzare il suo sguardo tra me e il regalo, provando ad accennare qualcosa ma infine lasciando che le lacrime scendessero libere -scusandosi-, forse per la dedica o più probabilmente per il soggetto: Oscar, seduto sul prato, in pieno sole, accanto a dei ranuncoli gialli spuntati velocemente (“perché la primavera avanza ad una velocità di 100 miglia al giorno” -me l’ha detto Roger, e penso che sia davvero una frase bellissima), luce calda, muso all’insù, occhi dritti in camera. Gliel’ho scattata un paio di settimane fa, in quel momento senza pensare cosa potesse significare ma solo perché quel prato assolato e quel cane nero alle 2 mi avevano sorpreso e attirato.
Martedì Oscar non ci sarà più, è molto malato e non ha senso continuare a farlo soffrire.
Quella foto invece, con tutta la mia gratitudine, resterà per sempre. È anche a questo che servono, no?

26.2.17



Inghilterra-Italia @ The Whitehorse.

Poi ultima notte di lavoro.
All'inizio è stato uno shock, all'inizio avevo bisogno di tanta luce, non ero abituato a ritrovarmi al buio da solo.
Ora invece, alla fine mi sono abituato. Vedo tutto più luminoso, ho imparato a farmi bastare quel poco di luce che ho e non mi spaventa camminare nel nero. Alcune volte, quando c'è stata la luna piena, la torcia che ho in testa la spegnevo pure e cantavo forte.
Ma ho dovuto imparare. Si impara sempre, alla fine. E per farlo mi è servito venire qui, vagare in mezzo al buio, i fiumi e gli animali, fare affidamento solo su me stesso, essere costretto a poter guardare e vedere al massimo a 50 cm di distanza, un po' alla volta, facendo un passo per volta, senza avere la presunzione di puntare quel raggio luminoso troppo lontano e senza avere la stupidità di voltarmi e guardarmi indietro (che allora sì che quello che mi sono lasciato alle spalle mi inquieta ancora).

23.2.17








Turista francese chiede in francese a un italiano di tradurre in inglese a un poliziotto inglese "Dove si trova il Primark più vicino". L'italiano sono io.


"And if a double-decker bus..."

22.2.17











Mendeley user discovery session.



Sciopero.


Grazie Damian, uno tsipouro alla nostra.


19.2.17



18.2.17


+28

17.2.17


Stamattina alle 9:20 dopo solo due ore di sonno ho urlato, o forse l'ho solo immaginato come quando si sogna di cadere e allora si fa uno scatto improvviso. Però avevo gli occhi lucidi. Era stato un sogno orrendo, triste, malinconico, pieno di rimpianti che avevano preso forma per l'ennesima volta.
C'erano di mezzo dei denti che cadevano (i miei) a forza di pugni e la disperazione per aver preso coscienza che sarebbero per sempre rimasti così senza la minima possibilità che tornassero come prima.
Ho dovuto guardarmi intorno, cercare qualcosa che mi dicesse che era tutto (non proprio tutto) finto, capire che ore fossero, scrivere per essere calmato prima di potermi riaddormentare e dormire come al solito fino alle 2.
"Perdere un dente rappresenta il lasciarsi alle spalle qualcosa di vecchio per far spazio al nuovo che sta per arrivare".

Oggi pomeriggio ad un tavolo si parlava del viaggio in Grecia che ho chiesto di far coincidere con il concerto del primo aprile di Brunori sas. Senza neanche accorgermene o forse accorgendomene ma senza riuscire a fare nulla per fermarmi, mi sono commosso ascoltando le note e le parole di una sua canzone che mia madre stava sentendo per la prima volta e che io, non esagero, forse per la centesima in 2 mesi. Mi sono vergognato di essermi fatto vedere così, ho avuto paura di aver pensato che dopo 3 mesi qui non sono ancora tornato a stare bene come pensavo e ho avuto il terrore di riconoscermi per un attimo in quello che non ha più il coraggio di rischiare di diventare quello che gli pare. Gli accordi di settima eccedente hanno fatto il resto. E pensa se invece fosse partita Canzoni contro la paura.

"Mentre la primavera raggiungeva il culmine io non potevo fare a meno di sentirmi sempre più angosciato e inquieto. L'angoscia mi assaliva soprattutto al tramonto. Senza alcuna ragione apparente se non l'oscurità che si addensava o il profumo di magnolie che impregnava l'aria, a un tratto sentivo il mio cuore farsi più pesante e sussultare come per una scossa o una ferita inattesa. Allora chiudevo forte gli occhi e stringevo i denti aspettando che passasse. E piano piano passava, ma lasciandomi un po' indolenzito dentro."
Haruki Murakami - Norwegian wood/Tokyo blues, pt.8.

Poi stanotte ho bevuto il mio solito litro di caffé delle 11 con i pancake, ho finito un altro libro -il quinto da quando sono qui- e ho pensato di riprendere in mano Storie di ordinaria follia di Bukowski, ho ascoltato una canzone (Obi -Somewhere nicer) che mi ha fatto tornare la voglia di ricominciare la chitarra per smetterla una volta per tutte di fare finta di suonarla ad occhi chiusi, aprendoli solo per cambiare accordi, e cantare, cantare forte, cantare tutte le parole delle canzoni che mi piacciono -l'ho fatto anche stavolta. E dopo tutto questo ho ricevuto due messaggi da Giulia e Alessio. I primi auguri, uno testo, uno video. Entrambi mi hanno scaldato il cuore e fatto sentire proprio bene.
Non vedo l'ora di riabbracciarli.

16.2.17


Ore 4:16.

15.2.17






14.2.17



Sono arrivati i rinforzi per 4 giorni. Colazione merenda aperitivo pranzo merenda cena dopocena senza problemi.

13.2.17




Oscar, il sole del risveglio alle 2, i ranuncoli gialli che ieri non c'erano.

8.2.17



Miles ahead.

"Come ogni domenica mattina, mi sedetti alla scrivania e scrissi a Naoko. Con la compagnia di un vecchio disco di Miles Davis e di una gran tazza di caffè le scrissi una lunga lettera. Tra il freddo e i vetri rigati da una pioggia sottile la stanza sembrava un acquario. Il pullover pesante che avevo appena tirato fuori dalla scatola degli abiti invernali sapeva ancora di naftalina. Una grossa mosca era appoggiata sulla parte alta del vetro assolutamente immobile. Anche la bandiera, in mancanza di vento, non si muoveva e ricadeva afflosciata lungo l'asta, avvolta su se stessa, come il panneggio della toga di qualche senatore romano. Un cane marrone e denutrito, venuto da chissà dove, si aggirava per il cortile con aria esitante annusando un'aiuola dopo l'altra. Chissà cosa poteva spingere un cane ad andarsene in giro ad annusare fiori sotto la pioggia?
[...]
Dopo aver raccontato che ero stato alla sala di biliardo con Hatsumi, esitai un po' prima di scriverle che l'episodio mi aveva ricordato Kizuki, ma alla fine decisi di farlo. Mi sembrava giusto non fare omissioni.
"Quel giorno, il giorno della morte di Kizuki, ricordo bene il suo ultimo colpo. Era un tiro quasi impossibile, e io non pensavo minimamente che lui ce l'avrebbe fatta. Invece, sarà stato anche un caso, ma ci riuscì alla perfezione: la pallina bianca e quella rossa si urtarono leggermente, quasi senza un suono, sul feltro verde, e con quel colpo si aggiudicò la partita. Fu un colpo così straordinario che ancora adesso me lo ricordo perfettamente. Da allora non avevo toccato un biliardo per quasi due anni e mezzo.
"Eppure, la sera che sono andato a giocare al biliardo con Hatsumi, è stato solo alla fine della prima partita che mi sono ricordato di Kizuki, e questo pensiero mi ha sconvolto non poco. Avevo sempre pensato che non avrei mai più potuto giocare a biliardo nella mia vita senza pensare istantaneamente a lui. Invece fino al momento in cui, al termine della prima partita, non ho comprato una Pepsi-Cola dal distributore automatico lì nella sala, il ricordo di Kizuki non mi aveva nemmeno sfiorato. La ragione per cui mi è tornato in mente proprio in quel momento è che c'era un distributore automatico di Pepsi anche nella sala da biliardo che frequentavamo io e lui, e che spesso la posta in gioco era proprio il prezzo della bevanda.
"Il fatto di non essermi ricordato subito di lui mi ha dato la sensazione di avergli fatto un torto. Mi sono sentito come se l'avessi abbandonato. Però quando quella notte sono tornato nella mia stanza ho pensato: sono già passati due anni e mezzo da allora, e lui ha ancora diciassette anni. Ma questo non significa che il suo ricordo dentro di me sia sbiadito. Tutte le cose che la sua morte ha portato con sé rimangono vivide, alcune addirittura più che allora. Quello che cerco di dire è che tra poco io avrò vent'anni, e che una parte delle cose che ho diviso con Kizuki quando avevamo sedici, diciassette anni, sono già finite, e che per quanto uno possa piangere e disperarsi non torneranno più. Non te lo so spiegare meglio di così, ma penso che forse tu riuscirai a capire quello che cerco di dire. Credo che non ci sia nessun altro che possa capirlo all'infuori di te.
"In questi giorni penso a te ancora più di prima. Oggi piove. Quando di domenica piove io sono sempre agitato. Sarà, banalmente, perché non posso fare il bucato e di conseguenza non posso neanche stirare. Non posso neanche andare in giro a passeggiare né stendermi sul terrazzo. Non mi resta molto da fare se non stare seduto alla scrivania a guardare dalla finestra il cortile sotto la pioggia, mentre il giradischi messo sull'automatico torna a suonare per l'ennesima volta Kind of Blue. Come ti ho già scritto l'altra volta, la domenica non seguo il mio serrato programma di allenamento quotidiano, ed è anche perciò che questa lettera è diventata così lunga. Scusa. Adesso chiudo, e vado a mensa per il pranzo. Sayonara
Toru"

Haruki Murakami - Norwegian wood/Tokyo blues, pt.7.

Jazz, in qualunque modo passi il tempo.