1.10.17


Buzzati e il suo deserto dei tartari hanno iniziato a farmi compagnia in una domenica sera di inizio ottobre arrivata troppo velocemente. Campi cupi, montagne nere, vagoni al neon semideserti. Malinconia alla terza, ognuno a meditare silenziosamente sulla propria, a chi si è lasciato da una parte del percorso, a quanto (poco) c’è dall’altra.
Ho ascoltato il jazz citato da Murakami nei suoi libri in una playlist interminabile per avere l’impressione che scorrere più veloci su questi binari, o sedersi più comodi su queste poltrone, o fare più spazio in questo zaino che una volta a settimana mi costringe a scegliere il necessario per vivere due giorni alla volta alla fine sia possibile.

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Buzzati and his tartar steppe have started keeping me company on an early October Sunday evening that got here way too quickly. Dark fields, black-shaded mountains, semi-deserted neon-lit coaches. Melancholy to the 3rd power, everyone silently meditating about their own, on who was left at one side of the way, on how much (or little) is there at the other.
I listened to the jazz Murakami wrote about in his books from a never-ending playlist to be illuded that flowing faster on these tracks, or sitting more comfortably on these chairs or making more room in this backpack that once a week obliges me to choose what's needed for living two days at a time is actually possible.